IL TRIBUNALE Premesso che, nel procedimento penale n. 12619/09 R.G. Trib sez. Andria, Gagliano Davide, arrestato nella flagranza del reato di cui all'art.9, secondo comma, legge n. 1423/1956, come modificato dall'art. 14, d.l. n. 144/2005, e' stato tratto a giudizio direttissimo, per rispondere dinanzi al Tribunale di Trani - sezione distaccata di Andria, in composizione monocratica, di tale reato, per avere in particolare, quale soggetto sottoposto alla misura della sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno nel Comune di Andria, in forza del decreto n. 5/06 M.P. emesso in data 11 gennaio 2006 dal Tribunale di Bari, violato, con piu' azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, le prescrizioni di cui al punto n. 4 del citato decreto e cioe' quelle di «vivere onestamente, rispettare le leggi dello Stato e non dare ragione alcuna di sospetto in ordine alla propria condotta» e precisamente perche': 1) si poneva alla guida di un ciclomotore senza aver conseguito il previsto certificato di idoneita' alla guida dei ciclomotori e senza essere munito di patente perche' revocata; 2) si poneva alla guida dello stesso ciclomotore senza indossare il casco protettivo; 3) transitava nella zona battuta notoriamente da spacciatori e tossicodipendenti, cosi' dando ragione di sospetto con la propria condotta; Premesso ancora che, all'esito della convalida dell'arresto, in via preliminare l'imputato, presente, ha formulato richiesta di giudizio abbreviato ed il giudice ha disposto tale giudizio abbreviato; Rilevato che in tale giudizio la difesa dell'imputato ha sollevato una questione di illegittimita' costituzionale per violazione degli artt. 3, 25, 27 e 13 della Costituzione, dell'art. 9, legge n. 1423/1956, nella parte in cui richiamando il precetto di cui all'art. 5 della stessa legge, sanziona la prescrizione di «rispettare le leggi»; Sentito il p.m. che ha sostenuto al manifesta infondatezza della eccezione; Osserva L'art. 9, secondo comma, legge n. 1423/1956, come modificato dall'art.14, d.l. n. 144/2005, si pone in contrasto sia con l'art. 25, secondo comma, che con l'art. 3 della Costituzione facendo emergere due profili autonomi e distinti di illegittimita' costituzionale. Tale principio di tassativita', di indubbia matrice costituzionale, impone la tipizzazione e la determinatezza della fattispecie di reato affinche' possa essere sempre individuata o comunque individuabile con sicurezza la condotta sanzionata penalmente. Orbene, l'obbligo di «...vivere onestamente, di rispettare le leggi e non dare ragione di sospetti ...» pur essendo compreso tra le prescrizioni che vengono imposte al sorvegliato speciale, costituisce un obbligo di carattere generale che riguarda tutta la collettivita', non imposto specificamente al sorvegliato speciale. Conseguentemente, proprio per la sua portata generale, detto obbligo non individua una prescrizione a contenuto precettivo tipico e specifico della misura della sorveglianza speciale, e pertanto non e' possibile individuare in modo certo la condotta di inosservanza idonea ad integrare la fattispecie di reato di violazione della misura della sorveglianza speciale e cio' proprio perche' gli elementi (l'onesta' del vivere, le leggi da rispettare e le ragioni di sospetto da non generare) utilizzati per la tipizzazione della fattispecie di reato sono assai vaghi e comportano la indetermitezza del precetto che finisce cosi' con l'avere un contenuto estremamente generico. Resta infatti da definire il concetto di «vivere onestamente»; cosi' pure vanno individuate le leggi di cui si impone il rispetto (tutte le leggi dello Stato, anche quelle civili? E cioe' anche quelle la cui violazione non comporta un illecito amministrativo o penale); infine c'e' da chiedersi quali siano i comportamenti che generano ragioni di sospetti (nel procedimento in oggetto tale comportamento e' stato ravvisato, secondo la prospettazione accusatoria, nell'avere l'imputato percorso la zona battuta notoriamente da spacciatori e tossicodipendenti). Va evidenziato che la stessa Corte costituzionale con ordinanza 27 novembre-12 dicembre 2003, n. 354, pur dichiarando inammissibile la questione di illegittimita' costituzionale dell'art. 9, legge n. 1423/1956 in relazione all'art. 5, secondo comma, della stessa legge in riferimento all'art. 25, secondo comma, della Costituzione, ma solo perche' ha ritenuto tale questione priva di rilevanza nel procedimento a quo per le determinazioni che il giudice remittente era chiamato ad adottare, ha precisato che «l'art. 5 prevede - accanto a specifiche e qualificate condotte che configurano altrettanti e ben precisi "obblighi" tutti puntualmente circoscritti nominatim dalla previsione di legge la quale evidentemente assume in parte qua valore precettivo - alcune prescrizioni di "genere"; queste ultime, riconducibili al paradigma dell'honeste vivere, sono anch'esse funzionali alla ratio essendi della sorveglianza speciale, ma non sono certo qualificabili alla stregua di specifi "obblighi" penalmente sanzionati: paradigma, quello accennato, al quale e' certamente possibile ricondurre anche la prescrizione di "non dare ragione di sospetti", rappresentando essa null'altro che la proiezione esteriore del comportamento di chi osservi appunto il piu' generale precetto costituzionalmente imposto a chiunque di vivere onestamente». Orbene, poiche' secondo l'orientamento interpretativo dominante espresso anche da ultimo dalla Corte di cassazione, la inosservanza da parte del sorvegliato speciale delle prescrizioni, di cui al terzo comma (prima parte) del citato art. 5, di « ... vivere onestamente, di rispettare le leggi e non dare ragione di sospetti ...» configura pur sempre, nonostante la genericita' e la indeterminatezza del precetto, la fattispecie di reato di cui all'art. 9, legge n. 1423/1956, non resta che rilevare come l'art. 9, legge n. 1423/1956, nella parte in cui sanziona penalmente la violazione delle prescrizioni di cui alla prima parte del terzo comma del predetto art. 5, si ponga in evidente contrasto con l'art. 25, secondo comma, della Costituzione in quanto viola il principio costituzionale di tassativita' sancito in detto articolo della Costituzione. Tale questione di illegittimita' costituzionale, non solo, per quanto sopra detto in ordine alla genericita' e indeterminatezza del precetto (previsto dalla prima parte del terzo comma dell'art. 5 e) sanzionato penalmente dall'art.9, appare non manifestamente infondata, ma risulta altresi' rilevante in quanto la eventuale declaratoria di illegittimita' costituzionale e' destinata ad incidere sulle decisioni del giudice remittente nella misura in cui porterebbe ad escludere la sussistenza del fatto di reato contestato. Si aggiunga che il precetto di cui alla prima parte del terzo comma del citato art. 5 ha una portata cosi' generale da indirizzarsi a chiunque, sicche' la inosservanza di tale precetto generale finisce con l'integrare la fattispecie di reato a seconda della qualita' del soggetto trasgressore e cioe' a seconda che costui sia o meno sorvegliato speciale. Tale rilievo porterebbe, cosi' come eccepito dal difensore dell'imputato, anche a riscontrare una disparita' di trattamento non giustificata dalla qualita' del soggetto e pertanto contraria al principio di uguaglianza sancito dall'art.3 della Costituzione. Tuttavia, il maggiore disvalore della condotta potrebbe ricondursi proprio alla qualita' di sorvegliato speciale del soggetto trasgressore il quale con il suo comportamento trasgressivo genera un maggior allarme sociale. Piuttosto la portata generale del precetto (evidenziata dalla stessa Corte costituzionale nella sopra richiamata ordinanza n. 354/2003) si ripercuote sulla genericita' del precetto stesso e sulla concreta ed oggettiva difficolta' di individuare il comportamento trasgressivo a cui attribuire rilevanza penale, ma cio', secondo quanto sopra evidenziato, conferisce fondatezza alla questione di illegittimita' costituzionale sollevata con riferimento al secondo comma dell'art. 25 della Costituzione per violazione del principio di tassativita'. 2. - Il secondo profilo di illegittimita' costituzionale dell'art. 9, secondo comma, legge n. 1423/1956, come modificato dall'art. 14 d.l. n. 144/2005, attiene al contrasto di tale articolo con il principio di uguaglianza sancito dall'art. 3 della Costituzione. Al fine di evidenziare tale profilo di illegittimita' costituzionale, va rilevato che il secondo comma dell'art. 9, legge n. 1423/1956, come modificato dall'art.14, d.l. n. 144/2005, stabilisce che «Se l'inosservanza riguarda gli obblighi e le prescrizioni inerenti alla sorveglianza speciale con l'obbligo o il divieto di soggiorno, si applica la pena della reclusione da uno a cinque anni ed e' consentito l'arresto anche fuori dai casi di flagranza ...» e dunque, con riferimento a tale inosservanza, tipizza come delitto la violazione della misura di sorveglianza speciale in alternativa alla previsione del primo comma dello stesso art. 9 che invece configura come contravvenzione la semplice inosservanza degli obblighi inerenti alla sorveglianza speciale senza l'obbligo o il divieto di soggiorno (tanto si evince dal rapporto alternativo di operativita' dei due commi, introdotto dal «Se ... ...» e condizionato dalla previsione o meno dell'obbligo o del divieto di soggiorno). Orbene, dal punto di vista della concreta offensivita' della condotta, la inosservanza degli obblighi inerenti alla sorveglianza speciale presenta oggettivamente la stessa carica di disvalore a prescindere dal fatto che il sorvegliato speciale sia o meno gravato anche dall'obbligo o dal divieto di soggiorno, diversamente dal caso in cui sia invece proprio questa, e cioe' la prescrizione inerente all'obbligo o al divieto di soggiorno, ad essere violata. Conseguentemente, il piu' severo trattamento sanzionatorio (pena della reclusione da uno a cinque anni e possibilita' dell'arresto anche fuori dai casi di flagranza), previsto dal secondo comma dell'art. 9, legge n. 1423/1956, per la inosservanza dei normali obblighi inerenti alla sorveglianza speciale, diversi dalla prescrizione connessa all'obbligo o al divieto di soggiorno, per il solo fatto che il sorvegliato speciale sia gravato da tale obbligo o divieto, crea una ingiustificata disparita' di trattamento tra sorvegliato speciale semplice e sorvegliato speciale con obbligo o divieto di dimora. Tale disparita' di trattamento e' ingiustificata e dunque viola il principio costituzionale sancito dall'art. 3 della Costituzione, in quanto la severita' del trattamento sanzionatorio va agganciata alla maggiore gravita' del fatto e tale gravita' va valutata in relazione alla concreta offensivita' del fatto (e non gia' alla qualita' del soggetto) e dunque va apprezzata allo stesso modo con riferimento alle prescrizioni concretamente violate a prescindere dalla previsione o meno nel provvedimento applicativo della misura della sorveglianza speciale dell'obbligo o del divieto di soggiorno; la previsione di tale obbligo o divieto non incide sulla offensivita' e gravita' della condotta, ma serve solo a connotare diversamente il comportamento imposto al sorvegliato speciale e ad imporgli una piu' gravosa prescrizione che se violata puo' si' giustificare la configurabilita' della fattispecie delittuosa prevista nel secondo comma dell'art. 9, legge n. 1423/1956. Tale questione di illegittimita' costituzionale con riferimento all'art. 3 della Costituzione, non solo, per le considerazioni sin qui svolte, appare non manifestamente infondata, ma risulta altresi' rilevante in quanto la eventuale declaratoria di illegittimita' costituzionale e' destinata ad incidere sulle decisioni del giudice remittente nella misura in cui potrebbe condurre a configurare la meno grave fattispecie contravvenzionale di reato prevista dal primo comma dell'art. 9, legge n. 1423/1956. (6) Cosi' Ferrando Mantovani in Diritto Penale.